I metodi naturali “sono metodi che si basano sulla conoscenza dei processi biologici per cui una gravidanza può essere ricercata o evitata grazie all’osservazione dei segni e dei sintomi della fase fertile del ciclo mestruale. Quando si vuole evitare una gravidanza ci si deve astenere dai rapporti sessuali durante la fase fertile del ciclo, quando la si ricerca si possono utilizzare con precisione i giorni fecondi” (definizione dell’O.M.S.).
“Fra i Metodi Naturali e la contraccezione esiste una differenza di natura etica. Nella contraccezione l’uomo si fa padrone della propria natura, nei Metodi Naturali l’uomo si limita a far uso con intelligenza della propria natura, accogliendo il nesso fra unione e procreazione così come esso è stato posto dal Creatore, senza distruggerlo artificialmente e senza stringerlo ancora di più di quanto esso di fatto non lo sia. La norma, cui l’uomo in tal modo obbedisce, non è di natura biologica ma di natura personalistica” (R. Buttiglione, 1987).
La ricerca delle leggi che regolano la biologia del ciclo al fine di identificare il periodo fertile femminile ha origini antiche, ma le prime conoscenze di queste leggi risalgono agli inizi degli anni ’20 grazie a due ginecologi, il giapponese Ogino e l’austriaco Knaus. Il primo a trovare l’esatta collocazione temporale dell’ovulazione all’interno del ciclo fu Ogino il quale nel 1924 scoprì che l’ovulazione, indipendentemente dalla durata del ciclo, avviene tra il 12° ed il 16° giorno precedenti la successiva mestruazione.
Smulders, un medico olandese, a partire dalla scoperta di Ogino elaborò un metodo di pianificazione familiare, di tipo statistico, il metodo del calendario. Questo metodo, accettato anche da Ogino, fu per anni l’unico metodo conosciuto di pianificazione delle nascite.
Nel 1929 Knaus pervenne ad analoghe conclusioni, relativamente al rapporto temporale fra ovulazione e mestruazione successiva, asserendo che in una donna sana l’ovulazione avviene il 15° giorno precedente la mestruazione e fissando la fase fertile nel periodo compreso fra i tre giorni precedenti ed il giorno successivo l’ovulazione.
Nel 1927 il ginecologo olandese Van Den Velde per primo associò le fasi del ciclo alle variazioni della Temperatura Basale, portando quindi alla possibilità di diagnosticare l’avvenuta ovulazione nel ciclo in corso. Da questa intuizione si susseguirono una serie di studi che portarono, nel 1947, alla prima enunciazione di un metodo per individuare la fase sterile dopo il 3° giorno di rialzo termico, enunciazione dovuta al belga Ferin. Grazie a questa enunciazione Holt riuscì ad elaborare un metodo che associava la temperatura basale al calcolo di Ogino, ideando una regola atta ad individuare la fase sterile del ciclo semplicemente misurando tre valori di temperatura superiori di almeno 1° ai sei giorni precedenti.
Negli anni ’50, poi, numerosi studiosi di varie nazionalità contribuirono a sviluppare in modo sempre più adeguato il metodo della temperatura basale.
Un ginecologo americano, Keefe, nel 1962, fu il primo ad associare il muco cervicale alla fase estrogenica del ciclo mestruale e a correlare le diverse fasi del ciclo alle modificazioni morfologiche della cervice e dell’orifizio dell’utero.
Nei primi anni ’50 due medici australiani, i coniugi Billings, iniziarono studi che li portarono ad elaborare un metodo atto a riconoscere la fertilità solamente grazie all’osservazione del sintomo del muco cervicale, il Metodo Billings. Secondo questo metodo il muco ha un andamento ben preciso e peculiare per ogni donna, tale da consentirle di riconoscere le varie fasi del ciclo mestruale.
In seguito altri ricercatori, considerando il muco cervicale quale indicatore atto ad individuare la fase fertile, lo associarono alla temperatura basale (che individua invece la fine della fase fertile), portando all’elaborazione dei metodi sintotermici, i quali si basano sulla contemporanea osservazione di diversi sintomi di fertilità.